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martedì 25 luglio 2023

«Tale Alain Elkann incontra i lanzichenecchi»

 Nei giorni scorsi è uscito a pagina 29 della Repubblica, nella sezione Cultura, un trafiletto firmato da Alain Elkann, padre dell’editore di Repubblica e presidente del gruppo Gedi. Il pezzo è un racconto, in prima persona, di un viaggio sul treno Roma-Foggia, che vede il giornalista “vittima” di quelli che lui stesso definisce “lanzichenecchi”, cioè giovani un po’ chiassosi che, evidentemente, infastidiscono per qualche ora il giornalista (?).

Il pezzo, che troverete in fondo al post, denota un classismo senza pari e una spocchia senza eguali e ha fatto saltare la mosca al naso anche al comitato di redazione di Repubblica (oltre che avere generato tantissimi meme), tanto che il comitato di redazione ha inviato una mail a colleghe e colleghi di Repubblica per prendere le distanze dai contenuti dello scritto.

“Questa mattina la redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura del nostro giornale, a firma del padre dell’editore. Considerata la missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli, e forti anche delle reazioni raccolte e ricevute dalle colleghe e dai colleghi, ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto. Per i quali peraltro siamo oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà”.



Fabio Magnasciutti· 

ricordo ancora quella volta, sarà stato circa cinquecento anni fa, in cui mi trovai su un treno di ritorno dalla Germania verso Roma

allora c'erano ancora gli scompartimenti e il mio, oltre che da me, era occupato da cinque lanzichenecchi (ce n'erano ovunque su quella vettura)

faceva un gran caldo e, tosto, si liberarono di calzature, gambali, elmi e armature lasciando tutto dove capitava

spade e alabarde, appoggiate qua e là alla buona, non facevano che oscillare e scivolare, scivolare e oscillare

estrassi dal mio zaino un taccuino, la mia Bic nero china punta fine, una copia di Tiramolla, una di Soldino e una di Geppo ma soprattutto Ritorno a Forte Ontario, quarto e ultimo capitolo dell'avventura in Egitto del Comandante Mark

lo appoggiai con cura sui miei jeans neri che, rispettivamente, si trovavano sovrapposti alle mie mutande nere con la scritta "uomo" sull'elastico, sopra ai miei calzini neri lunghi e ai miei anfibi neri e, infine, sotto la mia camicia nera (non c'è alcun riferimento politico) sbottonata sul petto

ero intenzionato a ultimare la lettura di questo impegnativo volume ma, potete immaginare, i lanzichenecchi non facevano che parlare a voce alta in lanzichenecco, idioma che la mia (pur vasta) cultura non mi consente di comprendere

non mi consideravano proprio, un vero alieno ai loro occhi

insomma, sapete come sono questi giovani lanzichenecchi, la birra, i würstel eccetera

com'è, come non è, butto un occhio fuori dal finestrino (in senso figurato, s'intende) e leggo "Pavia"

non avevo idea che per calare a Roma si passasse per Pavia, comunque dico vabbè (tanto nessuno mi capiva) e il viaggio prosegue fino a Roma

non ricordo quanto durò ma credo un sacco




25 luglio 2023 - «Tale Alain Elkann incontra i lanzichenecchi». I giornalisti di Repubblica si dissociano dall’articolo del padre dell'editore.

© Milko Dalla Battista


C’era un tempo in cui Alain Elkann aveva una rubrica settimanale sulla Stampa, in quanto genero del proprietario. 

La leggenda vuole che i redattori lo mettessero crudelmente in pagina lasciando intatti i suoi svarioni grammaticali e ortografici, per vendicarsene silenziosamente.

Oggi invece Alain Elkann ha scritto su Repubblica, in quanto padre del proprietario. 

E offre il racconto, drammatico e toccante, di un suo viaggio in treno, da Roma a Foggia, su un Italo, in prima classe. 

L’Autore è infatti serenamente seduto accanto al finestrino, intenzionato a leggere Proust e il Financial Times, quando purtroppo si avvede che per il medesimo vagone hanno acquistato i biglietti anche alcuni adolescenti, vestiti da adolescenti con tanto di cappellini da baseball, mentre lui indossava un vestito di lino blu.

Questi giovinastri – si scopre scorrendo il pezzo - parlavano ad alta voce di calcio e ragazze, disturbando l’Autore, che pure aveva estratto la sua penna stilografica e il suo taccuino di riflessioni: ma in quel fastidioso vociare non riusciva a concentrarsi. 

Talvolta questi virgulti – uno dei quali con l’acne - nel loro parlare usavano addirittura termini vernacolari, financo scadendo nel turpiloquio, il che rendeva ancora più inaccettabile la situazione. 

Non solo. L'Autore rivela che quegli sgraditi compagni di viaggio non lo degnavano di uno sguardo: continuavano a parlare tra loro di calcio e ragazze, bevendo Coca Cola, benché avessero la fortuna di potersi confrontare su Proust con un gigante del pensiero come Elkann. 

Pensate che al termine del viaggio non lo hanno nemmeno salutato.

La misura era colma. 

Ma per fortuna, una volta giunto a destinazione, Elkann ha preso il telefonino e ha ordinato a Molinari di ospitare il suo sdegno.

Il mondo doveva sapere.

Alessandro Giglioli



Che mangino brioches!

#satira #comics #cartoons #alainelkann #lanzichenecchi
Olivieri


by Tiziano Riverso





MEDIA & REGIME
I giornalisti di Repubblica si dissociano dall’articolo di Alain Elkann (padre dell’editore): “Contenuti classisti”

di Alberto Marzocchi | 24 LUGLIO 2023
Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”. Si intitola così l’articolo firmato da Alain Elkann, uscito stamattina sulle pagine culturali de la Repubblica. Un racconto, in prima persona, sul treno Roma-Foggia, che vede il giornalista “vittima” di quelli che lui stesso definisce “lanzichenecchi”, cioè giovani un po’ chiassosi che, evidentemente, infastidiscono per qualche ora il padre dell’editore di Repubblica e presidente del gruppo Gedi. Il reportage (?), pubblicato a pagina 29, ha fatto saltare sulla sedia diversi giornalisti della testata, tanto che nel primo pomeriggio il cdr (comitato di redazione) ha inviato una mail, a colleghe e colleghi, per prendere le distanze dai contenuti dello scritto.

“Questa mattina la redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura del nostro giornale, a firma del padre dell’editore. Considerata la missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche ultimamente nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli, e forti anche delle reazioni raccolte e ricevute dalle colleghe e dai colleghi, ci dissociamo dai contenuti classisti contenuti nello scritto. Per i quali peraltro – concludono nella nota – siamo oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi, imperniato su passione, impegno e uno sforzo di umiltà”.
Nell’articolo Alain Elkann, che ha “un vestito di lino blu e una camicia leggera” (in contrapposizione ai giovani sul treno, che hanno “t-shirt bianca e pantaloncini corti neri” e nessuno dei quali “porta l’orologio”) tira fuori dalla “cartella di cuoio marrone” la “mia penna stilografica”; ma anche i giornali (Financial Times, New York Times, ovviamente Repubblica) e la Recherche du temps perdu di Marcel Proust, di cui scrive alcune annotazioni. Chi è con lui nel vagone, invece, parla “di calcio, giocatori, partite, squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni“. Nessuno sembra prestargli attenzione e così “arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani ‘lanzichenecchi’ senza nome”.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it


by le più belle frasi di Osho


Alain Elkann e la sua abissale distanza dalla realtà. Neanche Cechov si sentiva così superiore
Qualcuno sui social ha scritto, a proposito dell’articolo di Alain Elkann sui suoi incontri sull’Italo che lo portava a Foggia, “Repubblica in purezza”. Come fosse un Sangiovese (senza offesa per il Sangiovese). Sì, perché la vicenda del viaggio di Elkann, in una molto popolare carrozza di “Prima” – ma perché una persona della sua statura (e del suo reddito) non si è preso un più esclusivo Executive o addirittura un Salottino? – rivela l’ormai irreversibile sradicamento dalla realtà del giornale che, per dire, fu fondato da Eugenio Scalfari e poi diretto da Ezio Mauro.

Elkann ha incontrato, nella molto popolare carrozza di Prima, un gruppo di giovani che parlavano di calcio e di ragazze, vestiti in pantaloncini e t-shirt, mentre lui, in abito di lino e camicia leggera, era infastidito da questi “lanzichenecchi” che non gli lasciavano sfogliare in pace il New York Times, il Financial Times e La Recherche di Proust. Ora, Repubblica fu il giornale dove le inquietudini dei giovani degli anni Settanta erano raccontate (e vissute) da quell’altro giovane, giornalista in purezza, lui sì, che era Carlo Rivolta. E’ vero che il comitato di redazione si è dissociato dai “contenuti classisti” del pezzo del padre del proprietario del giornale. Ma il senso di abissale distanza dalla realtà rivelato da questa improvvida sortita resta.

Ho pensato a come si poteva commentare il pezzo di Elkann senza cadere nel banale. Mi è venuto in mente, chissà perché, un altro antico giornalista di Repubblica: si chiamava Beniamino Placido. Era un piacere sentirlo e leggerlo, l’ho seguito per tanti anni. Ha fatto, tra l’altro, il critico televisivo per otto anni. L’ha fatto con lo spirito giusto, di chi guarda la televisione per dovere di giornalista e senza sussiego. In questo, racconta lui in un bel libro che si chiama La televisione col cagnolino, l’ha aiutato Cechov. Che c’entra Cechov con Placido, e soprattutto con Alain Elkann?

“Siamo nel 2023 e ancora facciamo viaggiare Alain Elkann sui treni con i poveri ma che ca**o di paese siamo?”, “La prima classe pullula di popolani”: le reazioni social all’articolo dello scrittore
C’entra. Perché, dice Placido per spiegare il curioso titolo di quel libro, c’è un racconto di Cechov che si chiama La signora col cagnolino. In quel racconto c’è tutto Cechov, il quale – e qui lascio la parola a Placido – “non si crede superiore a nessuno. Nemmeno alle signore scontente – perché malmaritate – della borghesia russa del suo tempo (e di chissà quanti altri tempi). Nemmeno alle malmaritate che vanno a Jalta in vacanza, col loro cagnolino”. Cechov, continua Placido, “non riesce a sentirsi superiore agli altri esseri umani. E’ questo che fa la sua superiorità, come scrittore”.

Non solo Cechov non si sente superiore, ma non ci fa sentire nemmeno noi superiori al mondo che descrive. La signora va a Jalta e incontra qualcuno. Ma Cechov non ci fa sentire superiori “al rozzo burocrate che lei lì, a Jalta, incontra. Non ai contadini, agli impiegati, alle donnette, agli ometti, ai militari, ai borghesi che descrive”. E qui Placido fa il triplo salto mortale, il pezzo di bravura che lo riporta al suo tema, la televisione, senza sussiego: “E’ proprio sicuro che siamo così diversi da, così superiori a loro, solo perché non guardiamo la televisione, o diciamo di non guardarla?” Chissà cosa avrebbe scritto Placido di Elkann, oggi. Ce lo vedo: è proprio sicuro che siamo così diversi da quei ragazzi solo perché diciamo di non parlare di calcio e ragazze?

Forse Placido, quando descriveva il racconto di Cechov della signora col cagnolino, e la semplicità del suo linguaggio, stava vedendo in una palla di vetro Alain Elkann in viaggio verso Foggia. E forse lesse in anticipo di trent’anni (il libro di Placido è del 1993) l’articolo dello stesso Elkann su Repubblica per usarlo come controesempio mentale di come non descrivere gli altri che si incontrano. Siano signore malmaritate in vacanza a Jalta, siano contadini, impiegati o rozzi burocrati. O siano ragazzi che in treno parlano di calcio e di ragazze.



By Portos / Franco Portinari

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L'articolo:





SUL TRENO PER FOGGIA CON I GIOVANI «LANZICHENECCHI»
di Alain Elkann
Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni. 
T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano. Alcuni avevano in testa il classico cappello di tela con visiera da giocatore di baseball di colori diversi, prevalentemente neri, e avevano tutti o le braccia o le gambe o il collo con tatuaggi piuttosto grandi. Nessuno portava l’orologio. 
Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica. 
Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Parlavano di calcio, di giocatori, di partite, di squadre, usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni. 
Intanto il treno, era arrivato a Caserta. Non sapevo che per andare da Roma a Foggia si dovesse passare da Caserta e poi da Benevento. Pensavo di aver sbagliato treno, ma invece è così. Non ho mai rivolto la parola al mio vicino che o taceva ascoltando musica o si intrometteva con il medesimo linguaggio nella conversazione degli altri ragazzi. 
A un certo punto, poco dopo Benevento, mentre erano sempre seduti o quasi sdraiati ai loro posti, ammassando nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo, uno di loro ha detto: «Non è che dobbiamo stare soli di sera: andiamo a cercare ragazze nei night». 
Un altro ragazzo più piccolo di statura e con il viso leggermente coperto di acne giovanile ha detto: «Macché night! Credetemi, ho esperienza. Bisogna beccare le ragazze in spiaggia e poi la sera portarle fuori e provarci. La spiaggia è il posto più figo e sicuro per beccare». 
Quella conversazione sulle donne da trovare era andata avanti mentre io avevo finito di scrivere sul mio quaderno ed ero immerso nella lettura di Proust. Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un altro mondo. 
Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi. 
Per loro chi era costui? 
Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava. Pensavano ai fatti loro, parlavano forte, dicevano parolacce, si muovevano in continuazione, ma nessuno degli altri passeggeri diceva nulla. 
Avevano paura di quei ragazzi tatuati che venivano dal nord, lo si capiva dall’accento, o erano abituati a quel genere di comportamento? 
Arrivando a Foggia, mi sono alzato, ho preso la mia cartella. Nessuno mi ha salutato, forse perché non mi vedevano e io non li ho salutati perché mi avevano dato fastidio quei giovani “lanzichenecchi” senza nome.



mercoledì 19 luglio 2023

Andrea Purgatori

 Il giornalismo perde un grande professionista, un uomo onesto e libero. 

Mancherà la tua passione, la tua determinazione per l'inchiesta sempre alla ricerca dei fatti e della verità per far luce sui numerosi misteri italiani. 

Fany perde un follower ed un amico della nona arte.

Ciao Andrea Purgatori e grazie!!


Caro Andrea.

Mauro Biani

#AndreaPurgatori


Se ne è andato all’improvviso Andrea Purgatori (1953-2023), uno dei più bravi giornalisti investigativi del nostro tempo. Si batté come nessun altro per scoprire la verità sulla strage di Ustica, sfidando segreti e viltà del potere, ricevendone intimidazioni e minacce, facendone una malattia. Professionale.

Ivano Sartori





E' scomparso Andrea Purgatori, un grande giornalista d'inchiesta che ha attraversato con i suoi reportage gli episodi più oscuri del nostro Paese e gli avvenimenti internazionali più importanti, tra terrorismo, rapimenti, mafia, stragi, guerre. Le sue indagini sulla strage di Ustica costituiscono una delle sue medaglie più importanti.

Questa vignetta, che apprezzò molto, del 1989 (Il Popolo) sulla strage di Ustica è legata proprio a una delle sue inchieste.

Marco De Angelis




Già me la immagino la conversazione, anzi, l'intervista di Andrea Purgatori con Lui. L'inizio potrebbe essere "quindi lei asserisce di esistere...quanto è coinvolta la chiesa con il caso Orlandi...e di Ustica cosa ci dice ?"

#Nicocomix #AndreaPurgatori #Ustica #purgatori #EmanuelaOrlandi #giornalista


Anche nel giornalismo, sono i migliori che se ne vanno...
Tomas


Grazie per averci indicato la strada
Ci mancherai
GIO / Mariagrazia Quaranta


Purgatori in terra
Paradiso in cielo
Mario Bochicchio


Se Purgatori è un giornalista...
... questi inferni che lo celebrano
perchè lo chiamano collega?
Riccardo Mannelli


per #AndreaPurgatori

#giornalismo #ritratto #disegno
Marilena Nardi 

Addio ad Andrea Purgatori 😢
Vauro



VELTRONI SU PURGATORI: UN LIMPIDO RABDOMANTE DELLA VERITÀ 

PERCHÉ GLI DOBBIAMO TUTTI QUALCOSA. NON SOLO PER USTICA

■ di Walter Veltroni per il “Corriere della Sera"

Faccio fatica a scrivere di Andrea al passato. La sua malattia è stata terribile, fulminante, spietata. Lui l’ha combattuta ma non ce l’ha fatta. Ci siamo scritti finché ha potuto, con quel pudore che caratterizza le relazioni tra affetti quando qualcuno è colpito da una malattia. Avevamo recentemente progettato insieme una serie sulla strage di Ustica per una piattaforma internazionale. Avevamo scritto a quattro mani le puntate, avevamo definito contenuti e linguaggi. Volevamo che fosse lui il protagonista, perché se lo meritava. 

È lui il cronista coraggioso in interpretato da Corso Salani, altra morte prematura, nel bellissimo film di Marco Risi “Il muro di gomma”. Andrea, la sera dell’abbattimento dell’aereo, ricevette una telefonata da una persona che conosceva. Questa voce gli diceva che le cose non erano andate come veniva già detto. Andrea si è gettato su questa storia con il coraggio che ha sempre animato il suo modo di intendere la sua professione.

Voglio dirlo in modo chiaro, inequivoco: Andrea Purgatori è stato il giornalista esemplare. È stato la testimonianza che si può intendere il raccontare la realtà come una sfida costante con la propria coscienza, come un dovere che ha profili etici nei confronti delle cose, degli altri, di sé stessi. Non è mai stato un complottista, un dietrologo, non ha mai usato ideologie per raccontare la realtà. Aveva le sue solide convinzioni politiche e ideali ma non le ha mai usate per distorcere la realtà, per usare l’informazione a fini di parte. La sua parte, l’unica parte alla quale ha consacrato la sua vita professionale e personale, era la realtà. Non dico la verità, categoria di labile definizione. Ma la realtà, le cose come sono accadute.

Su questo giornale Andrea ha scritto di Ustica per anni, per contestare le bugie pelose di chi sosteneva le teorie più strampalate: il «cedimento strutturale» o la «bomba a bordo» o tutte le altre follie che servivano a camuffare la realtà che Andrea aveva scoperto fin dal primo momento. Andrea Purgatori ha detto agli italiani che sul cielo di Ustica si era combattuta la più grande battaglia militare in Europa dalla fine della guerra. Una verità che faceva tremare molti ambienti, in Italia e all’estero. Una verità che gli costò minacce alla sua stessa vita.

Andrea non ha smesso mai di cercare, magnifico rabdomante della realtà. E lo faceva con una febbre che univa la sua coscienza professionale e quella civile. Lo sanno gli spettatori di “Atlantide” su La7 e tutti coloro che hanno letto i suoi articoli o i suoi libri.

Gli italiani, lo dico senza enfasi, sono debitori nei suoi confronti. Senza di lui, e senza la battaglia di Daria Bonfietti e dell’associazione dei familiari, Ustica sarebbe stata sepolta sotto le bugie.

Che si occupasse del caso Orlandi, dell’omicidio di Pecorelli o dei rapporti tra mafia e politica, sempre Andrea trasmetteva il senso di una limpidezza, di una incorruttibilità che ha onorato la sua professione e guidato e illuminato la sua vita.

Era un uomo simpatico, spiritoso, pieno di passioni e di gentilezza, con un senso dell’umorismo che lo rendeva una presenza straordinariamente piacevole. Con lui potevi parlare di cultura, di storia, di politica, di televisione. E di calcio, come abbiamo fatto tante volte, insieme, vedendo partite e divertendoci insieme.

Andrea era una di quelle persone che, se entrano in una stanza, vorresti non uscissero. Invece stavolta è uscito, per sempre. E, sinceramente, ora la morte di un amico come Andrea, di una persona come Andrea, di un giornalista come Andrea mi sembra troppo ingiusta e spietata per essere accettabile.

L’ultima volta ci siamo scritti qualcosa che tra amici, specie uomini, è difficile dirsi ma che varrà sempre: che ci volevamo bene.




martedì 25 maggio 2021

Il 24 maggio Ilaria Alpi avrebbe compiuto 60 anni.

 

Ad Ilaria

GIO / Mariagrazia Quaranta

www.caricaturegio.altervista.it


Il 24 maggio, è ricorso il 60esimo  anniversario della nascita di Ilaria Alpi, la giornalista della RAI assassinata in Somalia nel 1994, insieme al cineoperatore Miran Hrovatin.

Tra le varie  iniziative a ricordo di questo grande personaggio, è stato proposto un video, patrocinato dall’Ambasciata d’Italia a Mogadiscio, dalla Casa delle artiste di Milano e dal Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”

Numerosi gli enti patrocinanti tra i quali: Radio Italia Africa (Kenya), Associazione Papa Giovanni XXIII, Ambasciata dei diritti, Università per la pace, Casa delle culture, AMAD, Cooss Marche, Con..tatto, Polo 9, Servizio di Strada, Hexperimenta, Tenda di Abramo, Avvocato di strada, Free Woman ODV, Caritas diocesana, Opere Caritative Francescane.

L’opera, di Paolo Rosato, ha per titolo “Erano canti di guerra” per tuba e voce recitante, sarà interpretata in prima mondiale dal concertista italiano Gianmario Strappati, Ambasciatore di Missioni Don Bosco per la musica nel mondo.

I versi di Tonia Giansante saranno declamati dall’attrice Rossella Mattioli.

Il lavoro che nasce dallo spunto tematico tratto da antiche melodie somale, propone una profonda riflessione sul perché a distanza di anni, la vicenda di Ilaria Alpi riesca ancora a parlarci e a rivendicare verità e giustizia 

Lorenzo Canali

++ ++


Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Massimo Jatosti


Oggi Ilaria Alpi avrebbe compiuto 60 anni.

Un pensiero a lei, a Giorgio, a Luciana.

Mauro Biani




martedì 7 maggio 2019

Cartoon Movement vince l' Evens Journalism Prize 2019

By  Cartoon Movement (03/05/2019)




We are incredibly honored to be the recipient of the Evens Journalism Prize 2019, a biennial prize that aims to reward a journalist or organization whose work contributes highly to making Europe more comprehensive and accessible to a broad audience. You can read more about the Evens Foundation, the organization behind this award here.
From the jury report:
The jury reason for this year’s main prize resides in the capability of Cartoon Movement to develop a distinctive and remarkable journalistic format with a high potential for a far-reaching impact in an era where global collaborations are producing the most ground-breaking outcomes. The cooperation facilitated by this platform, allows a broad perspective on multiple pressing issues, besides an exceptional reporting quality. Diversity is guaranteed by the multitude of nationalities represented by their contributors but also by the variety of approaches and styles. Cartoon Movement supports the creation of new independent voices while stressing the importance of democratic values and ethics in the field of journalism. It knowledgeably promotes the use of humour to highlight the contradictions underlying current social concerns. Furthermore, the adoption of cartoons produces a democratising effect that makes news display immediate and accessible, irrespective of language boundaries. Thanks to these distinguishing features, Cartoon Movement positively responds to the Evens Foundation’s objective to award a laureate who could make Europe more comprehensible to a vast audience.
Cartoon Movement's editor-in-chief Tjeerd Royaards held a speech at the Difference Day gala dinner on 2 May 2019 at BOZAR–Centre for Fine Arts in Brussels:
Good evening,
It is a true honor for me to be here tonight, to accept the Evens Journalism Prize for 2019 on behalf of Cartoon Movement. And it feels like an award not so much for Cartoon Movement, but more an award for the cartoonists that make up our community, and who share their perspectives on the world via our platform each day.
On their behalf, I would like to extend my thanks to the Evens Foundation and to the distinguished jury for this recognition and appreciation of our work.
This award means a lot to me for two reasons.
First, it's very special because this is a journalism award. Ever since the inception of Cartoon Movement in 2010, our basic guiding principle has been that editorial cartoons are a form of journalism, and an important form at that.
Cartoonists are not always seen that way. Obviously they do not meet the journalistic requirement of objectivity. But besides that obvious point, the fact that we make our journalism by basically drawing funny pictures means that cartoonists are not always considered to be serious media professionals. Add to this the fact that cartoonists often work alone at home or in their studio, and not in a newsroom with their journalistic colleagues, and we can see why they are something of a special breed.
And although I agree that we cartoonists are somewhat of a special category, I also very much belief that editorial cartoonists are journalists. Because I believe that what we do is fundamental to journalism. For me, journalism is about pointing out the wrongs of society, about exposing corruption and power abuse, and about keeping a check on power by letting those in power know they are being watched. It's about making people think about important issues by providing them with different perspectives. And its about ensuring a thriving public debate.
All these goals cartoons accomplish. And in doing so, cartoonists adhere to most of the principles that other journalists use. Excluding the aforementioned objectivity, which Cartoon Movement has sought to circumvent by presenting a multitude of clearly subjective perspectives.
But we try to get the facts we base a cartoon on straight just like 'normal' journalists. And we have a strong ethical framework. This is especially important when making satire. Who do we mock and why do we make fun of them? The guiding principle being that satire should punch up, attack those in power, and not down towards the weak and powerless.
So Cartoon Movement has always strived to be a journalistic platform and to be recognized and honored as such is amazing!
The second reason this award is so important to me is because it recognizes the importance and impact that cartoons have.
The image you see on the screens, with a cartoonist's finger on the trigger, which is shaped like a pencil, was chosen to illustrate this point. Cartoons have impact because they can make their point immediately, within one to three seconds. This is especially true for cartoons that are wordless, which are the ones we often publish on Cartoon Movement. A good cartoon evokes an immediate emotional response: laughter, shock, anger, sadness. This is what makes visuals so powerful. It turns the pencil that cartoonists wield into a weapon. A weapon that is, if you will forgive me the cliche, mightier than the sword.
And the pencil is also seen this way - as a weapon - by those who do not appreciate satire, most often because they fear it will undermine their power. Dictators and extremists alike fear cartoons. They fear their power to open people's minds to new perspectives, and to make people think beyond the dogmas those in power have instilled in them.
The attack on Charlie Hebdo in 2015 is a testimony to this, but it is not the only one. The Press Freedom Index has shown for the last years that press freedom is in decline. And cartoonists are always among the first to fall victim to declining liberty, by censorship, harassment, arrest or worse.
This week, Turkish cartoonist Musa Kart was sent back to jail for one year and 16 days. Although his conviction was for another supposed crime, many believe, as do I, that the true reason for his incarceration is his critical pencil. We all know Mr. Erdogan isn't too fond of criticism.
And across the ocean, in Nicaragua, cartoonist Pedro X. Molina is in hiding as he continues to expose the wrongdoings of the regime of Daniel Ortega. At the end of last year, the newsroom of the Nicaraguan paper Confidential, was raided and destroyed by government troops, but Pedro and his colleagues refuse to give up.
It is these people we want to support at Cartoon Movement; to give them and other cartoonists a voice so they can continue to have an impact.
And on this eve of World Press Freedom Day, it is to them that I would like to dedicate this award. To all those cartoonists around the world that are in danger because of what they do, but continue to do it regardless. Because they believe that what they do matters.
Thank you.

Thierry Royaards



Per coloro che sono interessati, ecco il discorso che ho tenuto alla cerimonia di premiazione del Difference Day il 2 maggio a Bruxelles, sul perché i cartoon, le vignette sono giornalismo:
Buona sera,
E' un vero onore per me essere qui stasera, per accettare il premio Evens Journalism Prize per il 2019 a nome del Cartoon Movement. E sembra un premio non tanto per Cartoon Movement, quanto piuttosto un premio per i vignettisti che compongono la nostra comunità e che ogni giorno condividono le loro prospettive sul mondo attraverso la nostra piattaforma.
A loro nome, vorrei ringraziare la Fondazione Evens e l'illustre giuria per il riconoscimento e l'apprezzamento del nostro lavoro.
Questo premio significa molto per me per due motivi.
In primo luogo, è molto speciale perché si tratta di un premio giornalistico. Fin dalla nascita del Cartoon Movement nel 2010, il nostro principio guida di base è stato che i cartoon editoriali sono una forma di giornalismo, e una forma importante in questo senso.
I vignettisti non sono sempre visti in questo modo. Ovviamente non soddisfano il requisito giornalistico dell'obiettività. Ma a parte questo punto ovvio, il fatto che facciamo il nostro giornalismo disegnando immagini fondamentalmente divertenti significa che i  cartoonist non sono sempre considerati professionisti seri dai media. A questo si aggiunge il fatto che i vignettisti spesso lavorano da soli a casa o nel loro studio, e non in una redazione con i loro colleghi giornalisti, e possiamo capire perché sono qualcosa di una razza speciale.
E anche se sono d'accordo sul fatto che noi vignettisti siamo in qualche modo una categoria speciale, credo anche che i vignettisti editoriali siano giornalisti. Perché credo che ciò che facciamo è fondamentale per il giornalismo. Per me, il giornalismo consiste nell'evidenziare i torti della società, nel denunciare la corruzione e gli abusi di potere, e nel tenere sotto controllo il potere facendo sapere a chi è al potere che vengono osservati. Si tratta di far riflettere le persone su questioni importanti fornendo loro prospettive diverse. E si tratta di garantire un dibattito pubblico fiorente.
Tutti questi obiettivi che i cartooon realizzano. E così facendo, i vignettisti aderiscono alla maggior parte dei principi che altri giornalisti utilizzano. Escludendo la suddetta oggettività, che Cartoon Movement ha cercato di aggirare presentando una moltitudine di prospettive chiaramente soggettive.
Ma cerchiamo di far sì che i fatti su cui basiamo un cartoon, proprio come i giornalisti "normali" abbiano un quadro etico forte. Questo è particolarmente importante quando si fa satira. Chi prendiamo in giro e perché li prendiamo in giro? Il principio guida è che la satira dovrebbe prendere a pugni, attaccare chi è al potere e non verso i deboli e gli impotenti.
Così Cartoon Movement ha sempre cercato di essere una piattaforma giornalistica e di essere riconosciuto e onorato come tale è incredibile!
Il secondo motivo per cui questo premio è così importante per me è perché riconosce l'importanza e l'impatto che le vignette hanno.
L'immagine che vedete sugli schermi, con il dito di un fumettista sul grilletto, che ha la forma di una matita, è stata scelta per illustrare questo punto. I cartoon hanno un impatto perché possono fare il loro punto immediatamente, in uno o tre secondi. Questo vale soprattutto per i cartoon  senza parole, che sono quelli che spesso pubblichiamo su Cartoon Movement. Una buona vignetta evoca una risposta emotiva immediata: risate, shock, rabbia, tristezza. Questo è ciò che rende la grafica così potente. Trasforma la matita che i vignettisti maneggiano in un'arma. Un'arma che è, se mi perdonerete il cliché, più potente della spada.
E la matita è vista anche in questo modo - come un'arma - da coloro che non apprezzano la satira, il più delle volte perché temono che possa minare il loro potere. Sia i dittatori che gli estremisti temono i cartoni animati. Temono il loro potere di aprire la mente della gente a nuove prospettive, e di far pensare al di là dei dogmi che chi è al potere ha instillato in loro.
L'attacco a Charlie Hebdo nel 2015 ne è una testimonianza, ma non è l'unico. L'indice della libertà di stampa ha dimostrato negli ultimi anni, che la libertà di stampa è in declino. E i vignettisti sono sempre tra i primi a cadere vittime del declino della libertà, per censura, molestie, arresti o peggio ancora.
Questa settimana, il vignettista turco Musa Kart è stato rimandato in carcere per un anno e 16 giorni. Anche se la sua condanna era per un altro presunto crimine, molti credono, come me, che la vera ragione della sua incarcerazione sia la sua matita critica. Sappiamo tutti che il signor Erdogan non ama troppo le critiche.
E oltreoceano, in Nicaragua, il fumettista Pedro X. Molina si nasconde mentre continua a denunciare le malefatte del regime di Daniel Ortega. Alla fine dello scorso anno, la redazione del quotidiano nicaraguense Confidential, è stata perquisita e distrutta dalle truppe governative, ma Pedro e i suoi colleghi si rifiutano di arrendersi.
Sono queste persone che vogliamo sostenere al Cartoon Movement; dare loro e ad altri fumettisti una voce in modo che possano continuare ad avere un impatto.
E in questa vigilia della Giornata mondiale della libertà di stampa, è a loro che vorrei dedicare questo premio. A tutti quei disegnatori di cartoni animati 



© Agim Sulaj - Italy

venerdì 25 gennaio 2019

Ciao Nadia, amica della stampa libera

Da Articolo 21

Banksy's Balloon Girl, avatar di KK *




Ciao Nadia, amica della stampa libera

“Fai quel che devi, accada ciò che può” era il motto di Roberto Morrione, il nostro indimenticabile direttore. Ma quel motto l’aveva fatto suo anche Nadia, amica fedele di RaiNews24, di Report, di tutta la stampa libera. Una passione inossidabile quella per il giornalismo che Nadia Redoglia ha coltivato in silenzio e per anni in parallelo alla sua attività ufficiale. Una passione incrollabile per il giornalismo perché sostenuta da un’incrollabile passione civica, sempre in difesa dei più deboli. Una vita a sbattersi contro le disuguaglianze e le ingiustizie.

Una vita passata a pensare alla cura degli altri, anche quando avrebbe potuto e dovuto prendersi cura di se stessa. Se avevi un problema, o finivi sotto il tiro incrociato da parte del potere, Nadia era la prima persona che un giornalista trovava al suo fianco nel momento del bisogno. Quasi una perversione dettata dalla sua infinita generosità. Ricordo quando al ritorno da un viaggio in Medio Oriente mi donò una bottiglietta con l’acqua del Giordano, in occasione della nascita di mio figlio. O quando volle accompagnarmi nelle miniere di amianto a Balangero, mettendo a rischio la sua incolumità, solo per provare le emozioni che si vivono nel realizzare un’inchiesta giornalistica.

Da allora ha seguito tutte le inchieste sui temi più pruriginosi, ha scritto su ecomafie, guerre, sulle deformazioni del rapporto tra politica e stampa. L’ha fatto sempre con caparbietà, tenacia, lucidità. E’ raro trovare tanta determinazione in uno scricciolo di donna, una forza alimentata dal desiderio della scoperta, di togliere la maschera agli ipocriti. L’ha fatto fino all’ultimo, fino a quando l’infame malattia l’ha fiaccata. Siamo certi, conoscendola, che ha cercato d’entrare nella morte a occhi aperti. Ci mancherai Nadia. L’unica consolazione, magra, è che hai raggiunto il tuo, il nostro, maestro, Roberto Morrione.
Sigfrido Ranucci






Ho conosciuto Nadia sul forum di Aenigmatica, dove scriveva col nick name KK.
Mi mancheranno tantissimo i suoi articoli, i suoi messaggi.
Un grande abbraccio alla famiglia.

Ciao amica cara...


Ci ha lasciato Nadia Redoglia
Ci ha lasciato oggi l'amica e collega Nadia Redoglia. Non diremo che ha vinto la malattia, non perché non sia così, ma perché Nadia non era proprio tipo su cui qualcuno o qualcosa potesse vincere. Sessantatrè anni, giornalista da sempre, pubblicista da quasi 15 anni, ha scritto per Verde Ambiente, per l'Unione Sarda, per MondoErre, per l'Eco del Chisone. Quest'anno per la prima volta non c'era col suo caschetto d'argento al corteo del Primo Maggio, dietro lo striscione della Subalpina. Ma non aveva fatto comunque mancare il consueto appoggio per promuovere il Premio Morrione.  Combattiva, fortemente impegnata nelle battaglie civili e professionali, negli ultimi anni incisivi i suoi brevi editoriali per Articolo 21. Vogliamo ricordarla con le parole che lei stessa scrisse per la morte di Santo Della Volpe: "Pochi mestieri offrono condivisione, complicità, passione tenerezza. Il nostro ne fa parte. Se poi questo mestiere appartiene a Giornalisti come Santo, allora questo mestiere diventa il più bello del mondo… Smette addirittura d’esser lavoro per diventare un tutt’uno con chi quel mestiere lo esercita. (Nadia Redoglia)".
A Corrado, alla famiglia e agli amici di Nadia le nostre sincere condoglianze.

Nadia Redoglia col marito Corrado Pasini


Qui tutti gli articoli di Nadia

Banksy's Balloon Girl, avatar di KK *= Il famoso stencil di Balloon Girl di Banksy, che è apparso per la prima volta a Londra nel 2002, è stato trasformato per assomigliare ad una ragazza siriana che lascia il palloncino rosso a forma di cuore sul sito web dell'artista e appare insieme a una spiegazione di come i graffiti figuravano nella crisi siriana, la rivolta civile si è trasformata in un conflitto che ha causato la morte di oltre 100.000 persone.

venerdì 16 giugno 2017

L'Unità, Sergio Staino e la lettera a Matteo Renzi.



A chi mi chiede de l'Unità

LETTERA APERTA A MATTEO RENZI

15 giugno 2017
Sono rimasto profondamente colpito, sfavorevolmente, dalla risposta data da Matteo Renzi alle domanda a lui posta da Massimo Giannini sulla situazione de l’Unità. In pratica il nostro Segretario se l’è cavata spiegando che l’Unità ormai è in mano a privati e che questa scelta di consegnarla in mano a privati non è stata fatta da lui ma da segretari precedenti, per cui tanta solidarietà e comprensione umana per i dipendenti ma che si rivolgano a qualcun altro perché lui non c’entra, arrivederci e grazie. Ho riascoltato quattro volte sul sito di Repubblica questa sua tranquilla e allucinante logica per la quale la riapertura de l’Unità era stata frutto di una iniziativa totalmente privata. Naturalmente ho scritto subito un sms sia a lui che al Vicesegretario Martina chiedendo spiegazioni e proponendo per l’ennesima volta un incontro per discutere insieme delle possibilità superstiti per il salvataggio del giornale. Come ormai capita da mesi, silenzio assoluto.

In altri tempi, a questo punto, avrei sicuramente scritto una lettera ufficiale come Direttore de l’Unità al nostro Segretario, inviandola attraverso i canali istituzionali del partito. Oggi i tempi sono cambiati e di luoghi istituzionali del partito, grazie al disinteressamento continuo dello stesso Renzi, non esiste in pratica più nulla. Non mi resta quindi che affidare questa mia lettera ai canali informativi più tradizionali, non certo affascinanti come quelli del partito, ma sicuramente più efficaci.

Quel che ha risposto Renzi a Giannini è una sonora bugia o, se vogliamo usare termini più amati dal nostro Segretario, una vera e propria fake news. E’ vero che non è stato Matteo il primo Segretario che ha chiesto l’intervento privato nella società proprietaria de l’Unità ma non è vero che lui non abbia la piena responsabilità della nascita e della formazione dell’attuale società proprietaria Unità srl.

L’idea di investire su l’Unità non partì certo dai proprietari della Pessina Costruzioni che invece aderirono al progetto solo dopo le pressanti richieste dello stesso Renzi. Lui, e solo lui, Matteo Renzi, si era speso nei giorni del fallimento della NIE nell’estate del 2014, in una solenne promessa di riaprire l’Unità al più presto. Conservo un sms del 29 luglio 2014 inviatomi da Matteo nel quale, tranquillizzandomi sulla triste sorte de l’Unità, affermava: “Io la tengo aperta. Fosse anche l’ultima cosa che faccio”.

In questo caso mantenne la promessa e dopo aver rifiutato possibili finanziatori sgraditi perché in odore dalemiano e altri impossibilitati a partecipare per imbarazzanti vicende giudiziarie, scelse di puntare su Massimo Pessina e Guido Stefanelli. I due naturalmente non sapevano un bel nulla di editoria, né avevano mai pensato che in vita loro si sarebbero dovuti interessare di questo difficile e particolare settore produttivo. Matteo però li blandì con mille promesse. Loro rischiavano grosso, per cominciare una bella somma (si parla di 10 milioni di euro) come fideiussione sul fallimento della NIE che permettesse loro di utilizzare il marchio “Unità”, e altri milioni per rimettere in piedi organizzativamente la vita del giornale. Non dovevano preoccuparsi, diceva loro Matteo, tutti quei soldi sarebbero stati ben presto rimborsati dal partito; in più il partito avrebbe assicurato loro un buon guadagno, in particolare dalla capillare diffusione del giornale. Subito dai 10 000 ai 30 000 abbonamenti annui raccolti tra i dirigenti, tra gli eletti e dai tanti circoli sparsi in tutta Italia. E poi, naturalmente, iniziative, interviste, forum, qualunque cosa che potesse servire a far conoscere e diffondere il giornale. I due si sono fidati, vogliamo fargliene una colpa?

Come garanzia di tutto questo il PD entrava nella nuova società con il 20% delle quote (quote che ancora conserva) e con una “golden share” che permetteva al Segretario di scegliere gli organi dirigenti del giornale e l’ingresso di nuovi soci. Grazie a questi accordi Matto Renzi in prima persona ha scelto i vari direttori del giornale, da Cuperlo che non volle accettare, a D’Angelis, fino al sottoscritto. Ma per il resto, per tutti gli impegni presi come aiuto oggettivo e soggettivo alla crescita del giornale, niente è stato realizzato. Dei 30 000 abbonamenti promessi, al mio arrivo al giornale ne ho trovati solo 400 (non mila, proprio quattrocento). Non parliamo poi del resto: mai un’intervista al giornale, mai un incontro politico di discussione, mai un forum e perfino messi fuori i diffusori del giornale dalle riunioni della Leopolda.

E ancora oggi la situazione è la stessa: la società proprietaria divisa fra l’80% a Pessina e Stefanelli e il 20% alla società EYU, diretta emanazione del PD e quindi di Renzi; sito de l’Unità totalmente in mano al PD e non controllato dal direttore de l’Unità. Si può quindi parlare di estraneità del PD e del suo Segretario dalle vicende politiche, culturali e finanziarie del nostro giornale? Certamente no.

So benissimo che le difficoltà attuali del giornale vengono da lontano e che dipendono in larga misura anche dalla gestione che è stata fatta di questo nostro foglio negli ultimi 20 o 30 anni, ma questa eredità del passato non può servire assolutamente a giustificare la superficialità con cui sono state trattate la riapertura e la gestione attuale del giornale. Di tutto questo disagio, proprio per il suo ruolo, Matteo Renzi è il primo dei responsabili.

Lui ovviamente non vuole ammettere questo e ricorre alla più misera delle opzioni umane: la bugia. Di fronte a questo ho un tal senso di disgusto che devo stare molto attento a come continuare questa lettera. Dirò quindi solo una cosa, dirò che negli Stati Uniti, democrazia che il nostro Renzi ama molto, presidenti eletti a furor di popolo, per una bugia sono stati costretti a dimettersi.

Sergio Staino, Direttore de l’Unità

Staino: " Una striscia di Silver che se il giornale fosse uscito avrei voluto pubblicare"

16 giugno 2017

Cari amici,
naturalmente sto ricevendo molte lettere di risposta alla mia lettera aperta a Matteo Renzi. Il tenore è un po' quello sintetizzato dalla lettera di Giovanni Bosco che qui vi riporto. Vi allego anche una mia vignetta sull'argomento.
A presto
Sergio


Carissimo Sergio,
sono sbalordito! Che L'Unità da anni ormai non sia amata dalla sinistra con tutte le definizioni che ama darsi, è cosa risaputa, diversamente non saremmo arrivati al punto in cui un segretario eletto con il 70% dei voti va a raccontare balle in una intervista ad uno dei più importanti quotidiani amato dalla sinistra, quello sì!
Penso che sarebbe giusto, necessario, perché siamo già fuori tempo massimo, scrivere un testo da sottoporre ad un giudizio e quindi ad adesione, non diretto solo ai lettori "incazzati" del giornale, come il sottoscritto e chissà quanti altri, ma rivolto anche, direi in primis, agli iscritti PD e a tutti coloro che l' hanno riconfermato segretario del partito (domando: ma è ancora un partito?), un segretario che si permette di esprimersi in quel modo poi...
Non solo negli USA , ma anche in Germania, in Francia, Inghilterra, in molti paesi dove comunque un politico, anche con meno responsabilità di quante ne ha Renzi, si dimettono per una bugia.
Caro Sergio qui non si tratta solo di una grave bugia, ma di un vero e proprio schiaffo in pieno viso, pubblico, a chi lavora nel giornale, a te che lo dirigi, e in particolare a tutti quelli come me che sono disposti, come sempre, ad impegnarsi per L'Unità, non tanto e solo perché la amano, ma perché ritengono "indispensabile" un giornale, in edicola, aperto al confronto all'interno di tutto il mondo della sinistra riformista almeno.
Io non accetto una offesa simile, deve chiedere scusa Renzi, si renda conto che sta sbagliando.
Anche se non in modo pieno lo stimavo, adesso non più. Non voglio e mi dispiace che il PD perda, ma forse se ai prossimi ballottaggi si perde una barca di Comuni, dovrà pure farsi qualche domanda.
Un forte sincero abbraccio
Giovanni Bosco


The last one - 3 giugno 2017

martedì 4 aprile 2017

Staino e L'Unità


1 aprile 2017

Cari amici,
questo articolo da La Repubblica di oggi spiega bene cosa sta succedendo a l'Unità.Sergio

Unità in sciopero contro i tagli E Staino: “Lascio la direzione sfiduciato dai miei giornalisti”


La ristrutturazione annunciata dalla società prevede di licenziare il 60% dei redattori I cronisti dopo la striscia di Bobo sulla crisi del giornale: “Questa volta non ci hai fatto ridere”
Annalisa Cuzzocrea

Non c’è ironia, nella voce di Sergio Staino, mentre dice: «Mi hanno costretto a questa decisione, non potrei guardarmi allo specchio se rimanessi dopo che la mia redazione mi ha di fatto sfiduciato». Bobo lascia l’Unità.
Al telefono, subito dopo aver inviato la lettera in cui dice addio, si sfoga: «Avevo chiesto loro: fate un documento duro quanto volete, ma non fate lo sciopero, perché sarebbe contro di me. Non mi consentirebbe di continuare a lottare. Lo hanno fatto, e allora basta». La redazione non ha preso bene la prima pagina di ieri. La scelta di raccontare il momento durissimo, i tagli in arrivo, la difficile sopravvivenza della testata fondata da Antonio Gramsci nel 1924 attraverso una striscia satirica in cui il direttore Staino si raffigurava strattonato da mille parti: la proprietà, il cdr, perfino la moglie. «Per una volta Staino, per questa volta - scrivono i lavoratori dell’Unità - non ci hai fatto ridere. Sono giorni, settimane in cui non ridiamo. Da quando la proprietà ha annunciato che il 60% dei lavoratori di questo giornale a breve andrà a casa ». E ancora, i numeri prospettati dall’azienda «sono da macelleria sociale. A pagare saremo solo noi, e tu di conseguenza depauperato dalla nostra forza lavoro». Chiedono al direttore di restare al loro fianco, i giornalisti. Ma lo fanno dicendogli: «La tua iniziativa di ieri non ci aiuta. Anzi, rischia di offrire all’azienda il fianco per “calare la scure” sulle nostre teste, tanto per citare l’amministratore delegato». «Danno un giudizio negativo su una striscia che tantissimi lettori hanno capito - ribatte il direttore - sono pieno di lettere che me lo confermano. Non accettano che abbia usato la satira per un discorso politico, ma sotto quel fumetto c’è il dolore di Bobo. È l’angoscia a muoverlo. Non è una striscia felice ». Racconta, Staino, in quelle immagini, di tutti coloro che lo fermano per dirgli “bello, bello il giornale”, ma non lo comprano. «Prendo in giro mia moglie che mi tira in mezzo a situazioni familiari, il cdr che giustamente mi tampina perché non vuole che ipotizzi ristrutturazioni. A mio avviso, non c’è nessuna offesa. Mi aspettavo che si incazzasse Bonifazi, che lo facesse Renzi, cui ricordo di avergli dato del “cafone”, o l’amministratore delegato Stefanelli, che metto lì tutto preso dal tagliare. Mai avrei pensato ai giornalisti». E invece, all’Unità, si è tenuta una riunione dai toni accesi e molto duri. «Io capisco che siano nel pallone per paura dei tagli che ci saranno - dice ancora Staino - ma siamo davanti a un’alternativa drammatica: o chiudiamo o ristrutturiamo. Un giornale che vende le cifre che vendiamo noi non è sostenibile. Ventinove giornalisti e sette poligrafici per seimila copie, non ce la si fa. Ho cercato delle alternative: diventare più piccoli e poi riassumere una persona ogni mille copie recuperate. Ho chiesto aiuto a collaboratori che mi hanno scritto fondi gratuitamente, solo per amore di questo giornale. Che senso ha arrabbiarsi? Ho dato tutto a questo giornale. È un’offesa che non mi merito».

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Nota:
Respinte da Piesse le dimissioni del direttore dell’Unità Sergio Staino. L’ad Stefanelli: massima fiducia in lui

mercoledì 1 giugno 2016

Angelo Lopez wins the 2016 RFK Journalism Award for Cartoons

Fonte Michael Cavna



On May 25, Angelo Lopez will receive the RFK Journalism Award for Cartoons in a ceremony at the Newseum.
“I’m thrilled to receive the award,” Lopez tells The Post’s Comic Riffs, “and a little stunned, too.”
The RFK Journalism Awards, as presented by the Robert F. Kennedy Human Rightsorganization, “celebrate excellence” in a dozen categories, including investigative reporting, new media and international photography. (To see the full list of 2016 RFK journalism and book award recipients, including Post associate editor David Maraniss, click here.)
Lopez, who studied illustration at San Jose State, has been a political cartoonist at the Bay Area-based Philippines Today since 2012, while also working at a library. The author-artist’s cartoons last year offered sharp commentary on such issues as religious intolerance, sexual violence, women’s rights and censorship. He especially spotlights the challenges faced by marginalized Filipino Americans and Filipinos overseas.



Comic Riffs caught up with Lopez to talk about his influences, his heroes and the current state of controversial politics in the Philippines:
MICHAEL CAVNA: Congratulations on the award, Angelo. How did you receive the news … and have you yet received the standard call from the Kennedy family to congratulate you?
ANGELO LOPEZ: Robert Kennedy is one of my biggest heroes, and I admire all the social-justice work that the Kennedy family has done for our country. I received the news about a week ago. I got an email at my work, then received a call and found out I won the award. I was happy and also a bit stunned. It was a very surreal moment. When I was hearing about the news, I kept thinking to myself: “This doesn’t seem real.” I had won the Sigma Delta Chi award a few weeks ago, and was still getting over the thrill about that.
I haven’t received a call yet from one of the Kennedy family, but I’m going to meet Ethel and Kerry Kennedy in two weeks. … I’m excited and very nervous to meet [them]. I have a tendency to put my foot in my mouth when I get starstruck, and I’m definitely going to be starstruck when I meet Ethel and Kerry. My wife Lisa will be with me, so I’m hoping she slaps me upside the head before I do something that is too embarrassing.
MC: What were some of the hot-button issues that you think made for striking cartoons in your winning portfolio? Were there political or social matters you felt particularly passionate about last year?
AL: Over the years, I’ve focused a lot on the struggles of overseas Filipino workers and the struggles in this country of domestic workers. I think it’s important to comment on the most marginalized members of the Filipino American community, and to highlight the struggles of Filipinos overseas, and I think the judges detected that. In Mindanao, for instance, there is a lot of violence between the indigenous people and mining companies over the right to extract mineral resources from the land. Pope Francis’s efforts to reform the Catholic Church are having profound effects on Filipino Americans, as they are predominantly Catholic. This will effect Filipino attitudes towards divorces, LGBT individuals and the poor.
MC: Do you think you are continuing to improve and just get better, year to year [after eight years in the industry]?
AL: I think I’m improving. I’m always trying out new techniques whenever I see something I like. I work in a library to pay the bills, so I get exposed to a lot of great art books, graphic novels and comic collections. [···]


Angelo Lopez per Cartoon Movement
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Su Fany-Blog anche:
Domande al Papa di un non credente.

Nota:
Tutti i vincitori

48th Annual Robert F. Kennedy Journalism Awards (for 2015 Coverage)

High School Broadcast Winner
“The Jellybean Jar of Life: Nick’s Story,” Becca Kristofferson, Jacob Jaeger, Dylan Goodman, and Seamus Levin, Mexico High School, Missouri

High School Print Winner
“What One Family Can Never Forget,” Anthony Kristensen, North Star, Francis Howell North High School, Missouri

College Journalism Winner
“Land of Broken Promises,” Depth Reporting Class, Meek School of Journalism and New Media, University of Mississippi

Domestic Print Winner
“Beware the Fine Print,” Jessica Silver-Greenberg, Michael Corkery, Robert Gebeloff, and Christine Kay, The New York Times

International Print Winner
“Seafood from Slaves, “ Martha Mendoza, Margie Mason, Robin McDowell, and Esther Htusan, The Associated Press

Domestic Photography Winner
“The Geography of Poverty,” Matt Black, MSNBC

International Photography Winner
“Europe’s Migrant Crisis,” Carolyn Cole, Los Angeles Times

Radio Winner
“Injured Nurses,” Daniel Zwerdling, NPR News

New Media Winner
“Exxon: The Road Not Taken”, Neela Banerjee, John Cushman, Jr., David Hasemyer, and Lisa Song, InsideClimate News

Cartoon Winner
“Editorial Cartoons,” Angelo Lopez, Philippines Today

Domestic Television Winner
“Citizenfour,” Laura Poitras, HBO

International Television Winner
“Escaping Isis,” Edward Watts, Raney Aronson, John Bredar, Andrew Metz, and Evan Williams, FRONTLINE/WGHB